Cerbero è il cane a guardia del regno dei morti:
Cerbero, mostruoso cane della
mitologia greca, è il guardiano dell'entrata dell'Ade, colui che impedisce l'uscita ai morti e l'ingresso ai vivi.
Per quanto riguarda l'iconografia, esistono diverse rappresentazioni del suo aspetto: le teste sono in numero variabile da una a cinquanta (fonti più tarde gliene attribuiscono addirittura cento), anche se nella maggior parte dei casi sono due o tre.
Inoltre, a volte, lo troviamo raffigurato con la coda serpentiforme o con serpentelli che gli fuoriescono dal capo o dai fianchi.
Figlio di Echidna e Tifeo, come il fratello Ortro, é stato protagonista di una delle più celebri fatiche di Ercole. L'eroe greco, obbligato a ubbidire a Euristeo, re di Tirinto da lui giudicato "uomo molto inferiore", discende nell'Erebo, prende per il collo la bestiaccia e la trascina fuori fino alla corte del sovrano.
Ercole stesso, una volta morto e disceso nell'Ade, racconterà questo episodio a Ulisse:
"...Ed ero figlio di Zeus Cronide, ma pianto
senza mai fine avevo: a un uomo molto inferiore
dovevo servire, e m'ordinava penose fatiche.
Un giorno quaggiù mi mandò, a prendergli il Cane: niente
pensava sarebbe mai stato più grave di questa fatica!
ma glielo portai, lo tirai fuori dell'Ade:
Ermete mi fu guida, e Atena occhio azzurro"...
(Odissea, XI, 621-627)
Anche Orfeo, disceso negli Inferi alla ricerca di Euridice, incontra Cerbero e riesce ad ammansirlo con il suo canto melodioso.
Enea, invece, lo addormenta con una focaccia soporifera gettata dalla Sibilla nelle fauci della belva.
"...Giunti che furo, il gran Cerbero udiro
Abbajar con tre gole, e 'l bujo regno
Intronar tutto; indi in un antro immenso
Sel vider pria giacer disteso avanti,
Poi sorger , digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d'incantate biade
Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangigiando mandolla, e con sei lumi
Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l'antro abbandonato e vinto."
(Eneide, VI, 612-629)
Dante, che lo pone a guardia del cerchio dei golosi, ce lo descrive così:
"...Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'lventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra...
...Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo."
(If. VI, 13-24)
Per quanto riguarda l'iconografia, esistono diverse rappresentazioni del suo aspetto: le teste sono in numero variabile da una a cinquanta (fonti più tarde gliene attribuiscono addirittura cento), anche se nella maggior parte dei casi sono due o tre.
Inoltre, a volte, lo troviamo raffigurato con la coda serpentiforme o con serpentelli che gli fuoriescono dal capo o dai fianchi.
Figlio di Echidna e Tifeo, come il fratello Ortro, é stato protagonista di una delle più celebri fatiche di Ercole. L'eroe greco, obbligato a ubbidire a Euristeo, re di Tirinto da lui giudicato "uomo molto inferiore", discende nell'Erebo, prende per il collo la bestiaccia e la trascina fuori fino alla corte del sovrano.
Ercole stesso, una volta morto e disceso nell'Ade, racconterà questo episodio a Ulisse:
"...Ed ero figlio di Zeus Cronide, ma pianto
senza mai fine avevo: a un uomo molto inferiore
dovevo servire, e m'ordinava penose fatiche.
Un giorno quaggiù mi mandò, a prendergli il Cane: niente
pensava sarebbe mai stato più grave di questa fatica!
ma glielo portai, lo tirai fuori dell'Ade:
Ermete mi fu guida, e Atena occhio azzurro"...
(Odissea, XI, 621-627)
Anche Orfeo, disceso negli Inferi alla ricerca di Euridice, incontra Cerbero e riesce ad ammansirlo con il suo canto melodioso.
Enea, invece, lo addormenta con una focaccia soporifera gettata dalla Sibilla nelle fauci della belva.
"...Giunti che furo, il gran Cerbero udiro
Abbajar con tre gole, e 'l bujo regno
Intronar tutto; indi in un antro immenso
Sel vider pria giacer disteso avanti,
Poi sorger , digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d'incantate biade
Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangigiando mandolla, e con sei lumi
Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l'antro abbandonato e vinto."
(Eneide, VI, 612-629)
Dante, che lo pone a guardia del cerchio dei golosi, ce lo descrive così:
"...Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e 'lventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra...
...Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo."
(If. VI, 13-24)
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